I ricordi di …
Abbiamo avuto la fortuna di incontrare alcune persone di Garessio che hanno vissuto in prima persona molti
degli eventi legati al Miramonti.
Riportiamo alcuni dei loro ricordi …
Garessio, 23/11/2014, Casa dell’Amicizia
Intervista a Ghiglia Renata sulla battaglia del Miramonti
Mi chiamo Ghiglia Renata e all’epoca della battaglia , cioè nel febbraio del 1944, io e la mia famiglia abitavamo
nella dependance di Villa Randone, in quel periodo disabitata. La mia casa era proprio sotto al Miramonti, quindi ho
assistito a tutti gli eventi legati a quel luogo.
Ricordo, quindi, che dopo un attacco da parte partigiana
(mi pare arrivassero dalla collina di San Costanzo),
i tedeschi si barricarono nel Miramonti, cominciando
a sparare con mitra e fucili in tutte le direzioni.
Avevo 15 anni ed ero terrorizzata, mia sorella, molto
più piccola di me, piangeva e si disperava.
Certo in quella casa non eravamo al sicuro!
Mio padre decise allora di tentare di scappare e di
nasconderci proprio nella Villa che era arretrata
rispetto al Miramonti e protetta dal bosco.
Riuscimmo nell’intento e ci chiudemmo nella Villa.
Nella fuga precipitosa né mio padre né mia madre
pensarono di portare via da casa qualcosa da mangiare,
da bere o da coprirci contro il freddo.
Verso sera, però, mia sorella incominciò a piangere
e a lamentarsi: aveva fame, sete e, sosteneva, di essere congelata. Quando avremmo potuto rientrare a casa nostra?
Mosso da compassione mio padre decise di tentare di rientrare in casa per procurarci qualcosa da mangiare
e prendere qualche coperta. Fu un’impresa memorabile: i tedeschi sparavano appena sentivano muovere qualcosa;
mio padre riuscì ad entrare in casa nascondendosi dietro i tronchi degli alberi, rischiando più volte di essere colpito.
Ma alla fine riuscì nell’intento! Noi rientrammo in casa solo il giorno dopo.
Un altro episodio di quel terribile giorno (Ghiglia Renata)
Il 26 febbraio del 1944 quello che sarebbe poi diventato il mio futuro marito, cioè Flavio Carrara era andato a far visita
a suo nonno che abitava a Borgo Ratto. Ovviamente l’assordante deflagrazione degli spari lo costrinse a restare
dov’era e a non ritornare in paese.
A metà pomeriggio, però, non sentendo più spari si convinse che la battaglia fosse finita e, insieme ad altri giovani che
si erano rifugiati lassù, decise di avviarsi verso casa. Tra l’altro si era sparsa la voce che i partigiani avessero vinto e
che i tedeschi si fossero arresi. Purtroppo, però, la battaglia non era finita, quel silenzio ingannevole era solo una
tregua momentanea.
Scendendo, infatti, verso Garessio furono fermati da un gruppo di repubblichini che, scambiandoli per partigiani,
li portarono prigionieri sul piazzale del Miramonti dove vennero minacciati di immediata fucilazione.
Fortunatamente nel frattempo era arrivato insieme ai rinforzi tedeschi anche un certo signor Meluccio che svolgeva
la mansione di interprete e che riuscì a intercedere in favore di questi prigionieri patteggiando una pena diversa
dalla fucilazione: si sarebbero impegnati a trasportare due casse di munizioni cadauno dal Miramonti alla Val Casotto.
In questo modo sia mio marito sia i suoi compagni salvarono la vita.
Per riconoscenza quando, finita la guerra, il signor Meluccio venne processato ad Albenga con l’accusa di aver aiutato
i tedeschi, mio marito e gli altri giovani andarono a deporre come testimoni in suo favore.